ARETHA FRANKLIN
LYRICS:
You're a no good heart breaker
You're a liar and you're a cheat
And I don't know why
I let you do these things to me
My friends keep telling me
That you ain't no good
But oh, but they don't know
That I'd leave you if I could
I guess I'm uptight
And I'm stuck like glue
'Cause I ain't never
I ain't never, I ain't never, no, no (loved a man)
(The way that I, I love you)
Some time ago I thought
You had run out of fools
But I was so wrong
You got one that you'll never lose
The way you treat me is a shame
How could you hurt me so bad
Baby, you know that I'm the best thing
That you ever had
Kiss me once again
Don'cha never, never say that we're through
Cause I ain't never
Never, Never, no, no (loved a man)
(The way that I, I love you)
I can't sleep at night
And I can't eat a bite
I guess I'll never be free
Since you got, your hooks, in me
Whoa, oh, oh
Yeah! Yeah!
I ain't never loved a man
I ain't never loved a man, baby
Ain't never had a man that hurt me so bad
No
Well this is what I'm gonna do about it...
Artist: Aretha Franklin
Album: I Never Loved A Man (The Way I Love You)
Year: 1967
Song: I Never Loved A Man (The Way I Love You)
Comentarios
10 years ago
Muscle shoals, Alabama. Negli anni sessanta, da quelle parti, di pelle nera si moriva. Se un negro entrava in un cinema, un teatro o anche un bagno pubblico, e non si dirigeva verso il cartello “coloured”, rischiava di non poter uscire più sulle sue gambe. Nei bar i banconi erano divisi in due zone, quella dei bianchi e l’altra dove si potevano sedere, per poco tempo, le persone di colore. Per andare a scuola i bambini bianchi dovevano prendere autobus separati e non mescolarsi con quella gente che, nell’opinione dei loro genitori, doveva rimanere segregata e sottomessa. Se qualche giovane ribelle di colore avesse avuto l’ardire di rivolgersi ad una ragazza bianca, per non dire prendere qualche confidenza con lei, era certo di trovarsi una croce incendiata nel giardino di casa e, se avesse insistito, era pronta una pattuglia di uomini incappucciati di bianco con corda e nodi scorsoi. Il Ku Klux Klan: dei buontemponi che linciavano i negri se non rimanevano al loro posto e si facevano fotografare sotto l’impiccato penzolante come cacciatori che si vantano della loro preda. Questo era il clima nel sud degli States una cinquantina d’anni fa, anche se è difficile crederlo per i più giovani ormai abituati al melting pot cosmopolita. In corrispondenza di un incrocio della strada statale che unisce le Shoals, e più precisamente in località Muscle, un personaggio che, nello spirito imprenditoriale del self made man americano, univa la capacità dell’impresario con il gusto dell’arrangiatore musicale ed il fiuto del talent scout, aprì un piccolo studio di registrazione insieme a musicisti suoi amici. Avevano due caratteristiche in comune: erano tutti molto bravi e molto bianchi. I Fame Studios, con il patron Rick Hall, divennero presto noti nell’ambiente ed una cantante di colore, che a venticinque anni aveva già pubblicato qualche album ma senza particolare successo, ebbe l’idea di recarsi in quel posto sperduto per fare delle prove per il suo nuovo disco. Nel 1967 Aretha Franklin, con l’accompagnamento di musicisti bianchi, registrò “I Never Loved A Man” che ebbe un successo clamoroso e la lanciò tra le maggiori interpreti R&B, fino a diventare la regina del soul. Dopo di lei, si sono disturbati a raggiungere l’Alabama artisti come Wilson Pickett, Etta James, Otis Redding e poi i Rolling Stones, Alicia Keys e moltissimi altri che, in quel gruppo di professionisti, hanno trovato un sound che le majors discografiche non sono mai riuscite ad uguagliare. Molti non sanno che, ad accompagnare la storia della musica nera c’è stata anche una parte importante di esecutori bianchi.La cosa notevole in questa storia non è tanto la nascita e l’affermazione di un piccolo studio di registrazione in contrapposizione con la grande potenza economica e di mercato delle multinazionali del settore, quanto la dimostrazione di una verità incontrovertibile: la forza della musica è universale. Il colore della pelle, la cultura, la provenienza, il censo niente ha più importanza quando si abbandona il cervello per dare ascolto all’anima. C’è qualcosa che unisce tutti gli esseri viventi e si rivela tramite linguaggi che non hanno bisogno di parole. Forse “L’armonia del Creato” non è soltanto una locuzione descrittiva, ma la definizione di quello che tutto il creato ha in comune: l’armonia che si manifesta nella musica.C’era un bambino che, all’età di due o tre anni, quando i genitori gli cantavano “Fascination”, piangeva calde lacrime senza sapere il perché, forse era il suo piccolo cuore che vibrava all’unisono con l’Universo.
10 years ago
Muscle shoals, Alabama. Negli anni sessanta, da quelle parti, di pelle nera si moriva. Se un negro entrava in un cinema, un teatro o anche un bagno pubblico, e non si dirigeva verso il cartello “coloured”, rischiava di non poter uscire più sulle sue gambe. Nei bar i banconi erano divisi in due zone, quella dei bianchi e l’altra dove si potevano sedere, per poco tempo, le persone di colore. Per andare a scuola i bambini bianchi dovevano prendere autobus separati e non mescolarsi con quella gente che, nell’opinione dei loro genitori, doveva rimanere segregata e sottomessa. Se qualche giovane ribelle di colore avesse avuto l’ardire di rivolgersi ad una ragazza bianca, per non dire prendere qualche confidenza con lei, era certo di trovarsi una croce incendiata nel giardino di casa e, se avesse insistito, era pronta una pattuglia di uomini incappucciati di bianco con corda e nodi scorsoi. Il Ku Klux Klan: dei buontemponi che linciavano i negri se non rimanevano al loro posto e si facevano fotografare sotto l’impiccato penzolante come cacciatori che si vantano della loro preda. Questo era il clima nel sud degli States una cinquantina d’anni fa, anche se è difficile crederlo per i più giovani ormai abituati al melting pot cosmopolita. In corrispondenza di un incrocio della strada statale che unisce le Shoals, e più precisamente in località Muscle, un personaggio che, nello spirito imprenditoriale del self made man americano, univa la capacità dell’impresario con il gusto dell’arrangiatore musicale ed il fiuto del talent scout, aprì un piccolo studio di registrazione insieme a musicisti suoi amici. Avevano due caratteristiche in comune: erano tutti molto bravi e molto bianchi. I Fame Studios, con il patron Rick Hall, divennero presto noti nell’ambiente ed una cantante di colore, che a venticinque anni aveva già pubblicato qualche album ma senza particolare successo, ebbe l’idea di recarsi in quel posto sperduto per fare delle prove per il suo nuovo disco. Nel 1967 Aretha Franklin, con l’accompagnamento di musicisti bianchi, registrò “I Never Loved A Man” che ebbe un successo clamoroso e la lanciò tra le maggiori interpreti R&B, fino a diventare la regina del soul. Dopo di lei, si sono disturbati a raggiungere l’Alabama artisti come Wilson Pickett, Etta James, Otis Redding e poi i Rolling Stones, Alicia Keys e moltissimi altri che, in quel gruppo di professionisti, hanno trovato un sound che le majors discografiche non sono mai riuscite ad uguagliare. Molti non sanno che, ad accompagnare la storia della musica nera c’è stata anche una parte importante di esecutori bianchi.La cosa notevole in questa storia non è tanto la nascita e l’affermazione di un piccolo studio di registrazione in contrapposizione con la grande potenza economica e di mercato delle multinazionali del settore, quanto la dimostrazione di una verità incontrovertibile: la forza della musica è universale. Il colore della pelle, la cultura, la provenienza, il censo niente ha più importanza quando si abbandona il cervello per dare ascolto all’anima. C’è qualcosa che unisce tutti gli esseri viventi e si rivela tramite linguaggi che non hanno bisogno di parole. Forse “L’armonia del Creato” non è soltanto una locuzione descrittiva, ma la definizione di quello che tutto il creato ha in comune: l’armonia che si manifesta nella musica.C’era un bambino che, all’età di due o tre anni, quando i genitori gli cantavano “Fascination”, piangeva calde lacrime senza sapere il perché, forse era il suo piccolo cuore che vibrava all’unisono con l’Universo.
10 years ago
Muscle shoals, Alabama. Negli anni sessanta, da quelle parti, di pelle nera si moriva. Se un negro entrava in un cinema, un teatro o anche un bagno pubblico, e non si dirigeva verso il cartello “coloured”, rischiava di non poter uscire più sulle sue gambe. Nei bar i banconi erano divisi in due zone, quella dei bianchi e l’altra dove si potevano sedere, per poco tempo, le persone di colore. Per andare a scuola i bambini bianchi dovevano prendere autobus separati e non mescolarsi con quella gente che, nell’opinione dei loro genitori, doveva rimanere segregata e sottomessa. Se qualche giovane ribelle di colore avesse avuto l’ardire di rivolgersi ad una ragazza bianca, per non dire prendere qualche confidenza con lei, era certo di trovarsi una croce incendiata nel giardino di casa e, se avesse insistito, era pronta una pattuglia di uomini incappucciati di bianco con corda e nodi scorsoi. Il Ku Klux Klan: dei buontemponi che linciavano i negri se non rimanevano al loro posto e si facevano fotografare sotto l’impiccato penzolante come cacciatori che si vantano della loro preda. Questo era il clima nel sud degli States una cinquantina d’anni fa, anche se è difficile crederlo per i più giovani ormai abituati al melting pot cosmopolita. In corrispondenza di un incrocio della strada statale che unisce le Shoals, e più precisamente in località Muscle, un personaggio che, nello spirito imprenditoriale del self made man americano, univa la capacità dell’impresario con il gusto dell’arrangiatore musicale ed il fiuto del talent scout, aprì un piccolo studio di registrazione insieme a musicisti suoi amici. Avevano due caratteristiche in comune: erano tutti molto bravi e molto bianchi. I Fame Studios, con il patron Rick Hall, divennero presto noti nell’ambiente ed una cantante di colore, che a venticinque anni aveva già pubblicato qualche album ma senza particolare successo, ebbe l’idea di recarsi in quel posto sperduto per fare delle prove per il suo nuovo disco. Nel 1967 Aretha Franklin, con l’accompagnamento di musicisti bianchi, registrò “I Never Loved A Man” che ebbe un successo clamoroso e la lanciò tra le maggiori interpreti R&B, fino a diventare la regina del soul. Dopo di lei, si sono disturbati a raggiungere l’Alabama artisti come Wilson Pickett, Etta James, Otis Redding e poi i Rolling Stones, Alicia Keys e moltissimi altri che, in quel gruppo di professionisti, hanno trovato un sound che le majors discografiche non sono mai riuscite ad uguagliare. Molti non sanno che, ad accompagnare la storia della musica nera c’è stata anche una parte importante di esecutori bianchi.La cosa notevole in questa storia non è tanto la nascita e l’affermazione di un piccolo studio di registrazione in contrapposizione con la grande potenza economica e di mercato delle multinazionali del settore, quanto la dimostrazione di una verità incontrovertibile: la forza della musica è universale. Il colore della pelle, la cultura, la provenienza, il censo niente ha più importanza quando si abbandona il cervello per dare ascolto all’anima. C’è qualcosa che unisce tutti gli esseri viventi e si rivela tramite linguaggi che non hanno bisogno di parole. Forse “L’armonia del Creato” non è soltanto una locuzione descrittiva, ma la definizione di quello che tutto il creato ha in comune: l’armonia che si manifesta nella musica.C’era un bambino che, all’età di due o tre anni, quando i genitori gli cantavano “Fascination”, piangeva calde lacrime senza sapere il perché, forse era il suo piccolo cuore che vibrava all’unisono con l’Universo.